Si fa presto a dire contrazione muscolare… in realtà il muscolo può lavorare in molti modi diversi (addirittura senza muoversi!), ed ognuno di questi modi è in grado di indurre modificazioni estetico-funzionali specifiche.
Abbiamo dunque ormai individuato tutti i possibili modi nei quali un muscolo può contrarsi, e si rende necessario sviluppare una terminologia condivisa per poter parlare di esercizio e di movimento in modo confortevole ed utile.
Allo scopo prenderemo quindi come riferimento uno dei più classici movimenti della ginnastica coi pesi, le flessioni dell’avambraccio. Per rendere i ragionamenti fluidi dovremo assumere una serie di convenzioni e di approssimazioni:
- che il bicipite del braccio sia l’unico muscolo che flette l’avambraccio;
- che l’unica cosa che il bicipite fa sia flettere l’avambraccio;
- che il bicipite sia costituito da soli due capi tendinei (cioè sia, di fatto, monocipite) collegati l’uno al braccio, l’altro all’avambraccio;
- che il tricipite del braccio, con riferimento all’estensione dell’avambraccio, sia caratterizzato dalle stesse semplificazioni anatomo-funzionali specificate per il bicipite;
- che il movimento articolare sia una semplice successione di posizioni statiche, senza inerzie e senza partecipazione dell’elasticità muscolare;
- che l’esercizio venga svolto senza oscillazioni o aggiustamenti di angolo dei vari distretti corporei.
I più competenti si accorgeranno che in questo articolo ho privilegiato un percorso di esposizione dal taglio più applicativo che fisiologico: credo che, vista la natura divulgativa di queste pagine, si tratti di una buona scelta.
Allora, sapete quanti tipi di contrazione esistono?
Contrazione naturale: cosa succede al nostro bicipite durante una ripetizione dell’esercizio?
Innanzitutto, banalmente, il muscolo si accorcia mentre il peso sale e si allunga mentre il peso scende, mentre al tricipite succede il contrario. Solo che il tricipite si muove passivamente, e non consuma energia.
Si intuisce poi che lo sforzo del muscolo (e di conseguenza la sua tensione, il suo tono) è massimo quando l’avambraccio è parallelo al pavimento, e tendere ad essere nullo quando è ad esso perpendicolare (sia in alto che in basso).
Un’altra cosa importante è che, se è vero che sopra e sotto l’orizzontale il carico diminuisce simmetricamente, nella parte superiore del movimento il bicipite lavora con un’efficienza maggiore perché le sue fibre interagiscono in maggior grado.
Per quanto riguarda la velocità del movimento, questa sarà inversamente proporzionata allo sforzo, quindi più bassa ad avambraccio orizzontale.
Infine, notiamo che a parità di velocità di movimento, la discesa richiede un tono del bicipite minore che la salita, e questa differenza è maggiore quanto più alta è la velocità di esecuzione.
Allungamento passivo (anche distensione passiva): quando il nostro bicipite si contrae per sollevare il carico, il tricipite dietro al braccio si allunga senza utilizzare energia: di fatto, questo muscolo si limita ad estendersi posto in trazione dal gioco delle leve ossee.
Accorciamento passivo (anche contrazione passiva): quando il peso scende ed il bicipite lavora allungandosi, il tricipite si accorcia. Anche in questo caso, però, non consuma energia e non produce lavoro, pur contraendosi (cioè ritirando in sé le proprie estremità).
Contrazione concentrica: quando un muscolo spende energia per accorciarsi, cioè per avvicinare i suoi capi l’uno all’altro. Ad esempio, quando il bicipite si contrae per sollevare il bilanciere.
Il termine, dal greco, indica il fatto che i due capi si muovono verso il centro del muscolo.
Contrazione eccentrica: quando un muscolo si allunga spendendo energia. Ad esempio, il bilanciere si abbassa ed il bicipite frena la sua caduta. Osservate che, se l’avambraccio si estende alla stessa velocità con cui l’attrezzo cadrebbe se fosse lasciato a se stesso, il bicipite compie un allungamento passivo.
Il temine, dal greco, significa allontanandosi dal centro (del muscolo).
Contrazione isotonica: abbiamo visto che in corrispondenza di certi angoli di lavoro lo sforzo (il tono) muscolare diminuisce. Si tratta di un fenomeno naturale, ma la mania dell’ottimizzazione ha fatto sì che si cercassero dei metodi (trucchi meccanici) per mantenere invece il tono muscolare costante lungo tutta la traiettoria del movimento. Il più sistematico e comodo è quello di usare una macchina nella quale le carrucole su cui scorrono i cavi non sono rotonde e con foro centrale ma asimmetriche: sagomando opportunamente la forma periferica di questi eccentrici è possibile determinare con precisione l’effettivo sforzo compiuto dal muscolo per ogni posizione dell’angolo articolare, a parità di peso assoluto sollevato. Aumentando lo sforzo quando il carico, per legge fisica, tenderebbe a diminuire, otteniamo una contrazione isotonica. Il temine, dal greco, significa a tono costante.
Un utilizzo diverso degli eccentrici consiste invece nel ridurre lo sforzo laddove diventerebbe troppo alto. Guardate ad esempio questo arco, nel quale – a condizione di riuscire a mettere in trazione la corda per i primi centimetri – si riesce poi a tenderlo completamente ottenendo tensioni dell’ordine delle 100 libbre operando, di fatto, uno sforzo di meno della metà. Ripeto, tutto sta nel riuscire a fare i primi dieci centimetri! ; )
Contrazione auxotonica: ricordate i vecchi estensori a molla? Oggi si utilizzano elastici in materiale plastico, ma l’idea di fondo è la stessa. Se alleniamo i bicipiti utilizzando un attrezzo elastico – fissato ad esempio al pavimento – otteniamo uno sforzo che cresce man mano che l’angolo del gomito si chiude. E proprio questo – dal greco – significa auxotonico: a sforzo crescente.
Contrazione meiotonica: è riferita ad un muscolo che esercita uno sforzo via via minore man mano che si accorcia. Questa dinamica può essere dovuta ad un carico che diminuisce nel corso della contrazione (ad esempio nel sollevare un secchio d’acqua forato), ad un opportuno sistema di leve (vi rimando alla definizione di contrazione isotonica) o può essere individuata nella seconda parte di un movimento (e qui vi rimando alla definizione di contrazione naturale) quando, superato il punto di massimo sforzo, il muscolo continua ad accorciarsi incontrando una resistenza sempre minore.
Contrazione isometrica: se tratteniamo il bilanciere in una posizione statica, quella che otteniamo è una contrazione che consuma energia (stanca il muscolo) ma non produce lavoro meccanico (cioè movimento).
Un altro modo di ottenere una contrazione isometrica consiste nell’esercitare una pressione volitivamente massima contro una resistenza fissa: ad esempio eseguire lo stesso esercizio impugnando, anziché il bilanciere, uno dei montanti di una spalliera svedese.
Il termine, dal greco, significa a lunghezza costante, con chiaro riferimento alla lunghezza del muscolo.
È interessante notare che l’esercizio isometrico risulta allenante solo in corrispondenza dell’angolo (o degli angoli) cui viene eseguito.
Contrazione pliometrica: si tratta di un’idea piuttosto recente: una potente contrazione concentrica viene preceduta da un rapido ed impulsivo allungamento della fibra, solitamente ottenuto tramite un sovraccarico improvviso. In questo caso il nostro vecchio esercizio per i bicipiti non ci consente di fare un esempio utile: la forma di omero, radio ed ulna (le tre ossa che conformano il gomito) è tale da bloccare l’iperestensione dell’avambraccio. Meglio pensare, quindi, ad un balzo giù da un gradino seguito il più velocemente possibile da un balzo in alto: nell’atterraggio, i muscoli che produrranno poi il balzo in alto si stirano più o meno elasticamente per poi contrarsi al massimo della potenza di cui sono capaci.
Si tratta di una tecnica di allenamento piuttosto avanzata (e piuttosto stressante per muscoli ed articolazioni) dedicata allo sviluppo della potenza reattiva, cui l’amatore non ha generalmente bisogno di far ricorso.
Il termine pliometrico viene dal greco, e significa qui aumento della lunghezza.
Contrazione isometrica cinetica: questo è un neologismo. Quando vogliamo mostrare i muscoli, flettendo ripetutamente e lentamente l’avambraccio per mostrare il tipico gioco del bicipite, determiniamo un movimento che altro non è, in realtà, se non una successione di contrazioni isometriche ad angoli successivamente variabili. Non avendo una resistenza contro cui far forza, l’unico modo per contrarre i muscoli è mettere in tensione allo stesso tempo bicipite e tricipite (sempre nel gioco delle semplificazioni che abbiamo scelto di fare), in modo tale che ciascuno dei due faccia da resistenza all’altro.
Contrazione isocinetica: si ottiene solo con macchine speciali. Una macchina isocinetica permette di compiere un movimento a velocità costante (donde il nome), anzi obbliga a mantenere una velocità costante (dal greco, movimento (a velocità) costante).
Le macchine isocinetiche sono poche e costose, e permettono solo certi esercizi specifici, solitamente utilizzati nella rieducazione o per test atletici. Ho citato questo tipo di contrazione solo per completezza.
Grazie al dott. Luigi Gallo, autore di Protonutrizione e dotto grecista, per la consulenza etimologica : )
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