Allenare i pettorali: la geometria dei piegamenti delle braccia, ovvero molti esercizi in uno

Qualche giorno fa dicevamo che gli esercizi a corpo libero presentano alcuni aspetti che ai patiti di nuove tecnologie possono apparire decisamente naif.
I piegamenti delle braccia a terra sono certamente uno degli esercizi a corpo libero più famosi al mondo, probabilmente perché – assieme ai bicipiti delle braccia – i pettorali (tipicamente sollecitati da questo esercizio) rappresentano il mito dell’uomo muscoloso. Interessante che gli anglofoni lo chiamino push ups (più o meno sollevarsi spingendo) mentre in italiano si parla di arti che si flettono. In effetti, la definizione più usata (impropriamente) è di flessioni. In tutta Italia, fare le flessioni si riferisce inequivocabilmente a questo esercizio.

Credo che tutti sappiamo come si fanno le flessioni nella loro forma classica: distesi a terra proni, con i piedi uniti e le gambe tese, si poggiano simmetricamente le mani a terra ai lati del busto e, facendo forza sulle braccia e sui pettorali, si distendono gli arti superiori per poi tornare nella posizione di partenza.

L’aspetto apparentemente poco moderno di questo esercizio, cui accennavo poc’anzi, consiste nel fatto che è piuttosto difficile individuare un criterio per stabilirne il carico effettivo, cioè quanto peso si sta effettivamente sollevando con le braccia. Quello che possiamo dire è che si tratta di un valore certamente inferiore al peso corporeo, a meno di non utilizzare un peso supplementare. Buona parte del nostro peso, infatti, si scarica a terra tramite l’appoggio dei piedi.
Notiamo anche che il carico viene distribuito sui vari gruppi muscolari coinvolti (soprattutto pettorali, deltoidi, tricipiti delle braccia) a seconda della nostra conformazione fisica e di come effettuiamo l’esercizio.
Trovo interessante anche il fatto che ci sia questo parallelo tra la complessità del muscolo pettorale e la versatilità dell’esercizio…
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I parametri dell’esercizio

Le varianti nei piegamenti delle braccia giocano su 6 parametri; per descriverli, lasciatemi dare alcune definizioni, che si riferiscono tutte alla posizione in cui si esegue l’esercizio.
Chiameremo linea di spinta la linea immaginaria che unisce i gomiti. Chiameremo linea d’appoggio la linea immaginaria che unisce i polsi. Diremo, infine, che una delle linee è bassa quando è più spostata verso l’ombelico che verso il collo, e alta nel caso contrario.
Detto questo, i piegamenti delle braccia vengono modulati dai seguenti parametri:

  1. la distanza tra le mani;
  2. l’altezza della linea di spinta;
  3. la distanza, proiettata sul pavimento (o comunque sul piano di appoggio), tra la linea di spinta e la linea di appoggio. Solitamente la prima è sempre più bassa della seconda, ed al limite le due linee coincidono;
  4. la rotazione di mani e braccia: in quale direzione puntano dita e gomiti?
  5. l’inclinazione del corpo rispetto all’orizzontale: utilizzando un piano inclinato, muri, gradini, sedie, mobili ecc. possiamo modulare questo parametro a piacere, variando sia il coinvolgimento dei vari gruppi muscolari che la durezza dell’esercizio;
  6. la lunghezza della leva: anche scegliendo di utilizzare come punto di appoggio i piedi o le ginocchia possiamo influenzare la dinamica dell’esercizio.
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Prendiamo confidenza con le geometrie

Più la linea di spinta è bassa rispetto alla linea di appoggio, più caricheremo i tricipiti delle braccia rispetto ai pettorali.

Fin quando la linea di spinta rimane più bassa della linea di appoggio, più la linea di spinta rimane bassa più intervengono i pettorali superiori. Si tratta di una posizione utile ad esempio per sollevare il seno (e dare comunque un senso estetico di “petto pieno”), o per riempire i “buchi” tra pettorale, deltoide e clavicola.

Man mano che la linea di spinta sale e tende a coincidere con la linea di appoggio, il lavoro tende a concentrarsi sui pettorali intermedi e bassi
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La posizione canonica per questo esercizio è quando le due linee coincidono con la linea che unisce le spalle: in questo caso gli omeri sono paralleli tra di loro, e giacciono completamente sulla linea di spinta (i gomiti e le spalle sono cioè sulla stessa linea). Se la linea di spinta sale ancora, l’esercizio comincia a cambiare volto ed effetti, e ad assomigliare di più a quello che i bodybuilder chiamano pullover.

Più le mani sono lontane tra loro, più lo sforzo si concentra sulla parte esterna dei pettorali (quella verso le braccia piuttosto che verso lo sterno). Questa variante contribuisce a dare ai pettorali un aspetto più largo. In questa posizione, inoltre, i tricipiti si muovono su un’ampiezza inferiore e restano in posizione più contratta, e si stancano di meno.

Una distanza ridotta tra le mani tende a far stancare (e quindi ad allenare) di più le braccia; se, contemporaneamente, le due linee tendono a coincidere, il lavoro si concentrerà tendenzialmente nell’area dello sterno: utile per chi vuole “riempire” di più quella zona.

Questi elementi sono davvero i primi di cui essere consapevoli quando si utilizza l’esercizio nella propria routine di allenamento. Ci sono però ancora parecchie cose da dire, e trucchi da svelare. Restate caldi.

Image courtesy drclay.com
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