Scrivevo nel post precedente che allenarci troppo, cioè trovarci spesso nella circostanza di riallenarci quando la fatica degli allenamenti precedenti non è stata del tutto smaltita non è un buon affare, e può portare ad un affaticamento cronico che, nel migliore dei casi, abbasserà notevolmente il nostro rendimento. Si parla in questo caso di carichi non allenanti (per eccesso).
Solitamente qualsiasi atleta arriva presto o tardi a determinare quali siano i suoi carichi allenanti massimi, o quantomeno impara istintivamente a mantenersene al di sotto: scelta saggia. Meglio fare meno che troppo, ad aumentare i carichi si fa sempre a tempo.
Naturalmente, chi sia interessato ad allenarsi seriamente sa che se potesse allenarsi di più avrebbe risultati migliori. È su questo presupposto che si basano molte pratiche dopanti: un aumento delle capacità di lavoro e di recupero. Gli steroidi anabolizzanti, ad esempio, permettono di allenarsi di più e più intensamente, recuperando in tempi minori. Ma c’è un modo per avvicinarsi a questi effetti senza ricorrere a farmaci pericolosi: la modulazione dei carichi.
Questa tecnica consiste nel riallenarsi quando il recupero non è ancora completo (come nell’esempio della figura 4, Cicli di supercompensazione fuori sincrono, in questo articolo) ma con un carico esterno ridotto, in modo da realizzare un carico interno uguale a quello dell’allenamento precedente. La tecnica si ripete per un certo numero di giorni consecutivi (solitamente due o tre), e si conclude con un giorno di riposo.
Il concetto si può applicare in realtà anche se non ci si allena in giorni consecutivi. Ma con una settimana fitta di allenamenti il modello procedurale è più chiaro.
Facciamo quindi un esempio considerando, per semplicità, un esempio piuttosto astratto: un atleta che si allena cinque giorni alla settimana facendo un’unica serie di un unico esercizio per gli addominali. Immaginiamo che il suo record (realizzato “in gara”) sia di 6’ di esecuzione ininterrotti, e che in allenamento arrivi a 5’ (naturalmente l’atleta non può allenarsi tutti i giorni con un carco esterno corrispondente alla sua migliore prestazione: non riuscirebbe a recuperare). Ecco il tipo di lavoro che potrebbe fare in una settimana:
Lunedì: 5′:30”
Martedì: 4′:24”
Mercoledì: 2′:12”
Venerdì: 4′:24”
Sabato: 1′:39″
Un volta stabilito che l’atleta parte in questo esempio al lunedì con un carico esterno del 10% più alto del suo massimale in allenamento, in questa tabella il carico esterno segue l’andamento 100% − 80% − 40% − Riposo − 80% − 30% − Riposo.
Con una buona approssimazione (dettata dall’esperienza) questa combinazione è capace di determinare un buono stimolo allenante e di fornire allo stesso tempo spazio per un buon recupero.
Nel giro di 2-3 settimane l’atleta percepirà che il lunedì riesce ad andare oltre i 5′:30”: deve approfittarne, e stabilire un nuovo massimale sul quale ricalcolare i valori per le settimane seguenti.
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Quando utilizzare la modulazione dei carichi
L’applicazione di questa tecnica dà ottimi risultati quando c’è molta intensità, cioè la possibilità di concepire un esaurimento neuromuscolare. Se l’allenamento consiste in una sessione di corsa lenta e lunga in equilibrio di ossigeno la modulazione del carico non ha senso, essenzialmente perché non ha senso concepire il 100% della corsa lenta e lunga (a meno che l’atleta non raggiunga l’esaurimento correndo per parecchie ore): in questo tipo di lavoro, se siete già rodati ed il giorno dopo non avvertite fatica alcuna, non c’è bisogno di modulare alcunché. Fa eccezione naturalmente il principiante assoluto, per il quale cinque minuti di corsa in più o in meno possono fare la differenza: per lui la modulazione può avere un senso. Suggerisco in questo caso di optare per una modulazione più stretta, ad esempio 100% − 90% − 60%. La modulazione si applicherà al tempo di corsa effettivo, al netto del riscaldamento e del defaticamento.
Nel caso l’atleta si alleni con più serie di un unico esercizio, abbiamo la duplice possibilità di modulare il numero di serie, lasciando intatti carichi e ripetizioni, oppure il numero delle ripetizioni (come essenzialmente abbiamo fatto nell’esempio a serie singola).
Un modo piuttosto diffuso di sfruttare la modulazione dei carichi consiste nel considerare le settimane di allenamento come unità, alternando ad esempio una settimana al 100%, una all’80% ed una al 40%. Si tratta di un’opzione da valutare soprattutto quando i carichi di lavoro mensili (numero di sedute settimanali e quantità di lavoro in una seduta) sono elevati.
Osservate che, laddove l’atleta si alleni con una certa intensità, la modulazione dei carichi rappresenta una scelta strategica anche dal punto di vista del benessere e della longevità atletica, dando all’organismo più spazio per recuperare ed alla mente meno monotonia.
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Carico interno e carico esterno, come al solito
Un’altra nota tecnica va fatta relativamente al carico. In questo articolo scrivevo che quando si è giù di forma un carico esterno minore può dare gli stessi effetti allenanti o, più propriamente, lo stesso carico interno. Se quindi un giorno siete particolarmente stanchi (magari anche per ragioni estranee all’allenamento), per realizzare l’allenamento all’80% può bastare… un 70% del carico esterno : )
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Personalizzare le modulazioni
Infine, vorrei sottolineare che i numeri che ho utilizzato negli esempi rappresentano un’impostazione ragionevole e piuttosto indicativa, ma non necessariamente la soluzione migliore per tutti. Il metro reale sarà, come accennavo, la velocità dei vostri progressi: se non registrate miglioramenti ogni 2-3 settimane, è probabile che vi sia qualche errore di impostazione nel vostro allenamento, a meno che – naturalmente – non vi alleniate solo per tenervi in forma :)
Vedrete che, applicando correttamente le modulazioni, potrete dare ai vostri allenamenti una marcia in più, quale che sia la vostra disciplina.
Image courtesy mattinopadova.gelocal.it