Negli scorsi articoli ci siamo occupati di diversi aspetti tecnici dello stretching che spero abbiano contribuito a migliorare le vostre sessioni di lavoro e vi abbiano dato risultati migliori. Per chi si sia perso l’intera storia, ricordo che abbiamo cominciato ad occuparci di questo argomento a partire da qui.
Oggi invece vorrei approfondire assieme a voi la neurofisiologia dello stretching. Cioè: sappiamo che lo stretching funziona, ma come fa a funzionare? Si tratta di una reazione puramente meccanica, che riguarda per così dire la plastica muscolare, o sono coinvolti anche meccanismi centrali, di tipo neurologico? Certamente i lettori più fedeli possono immaginare quale sia la risposta. Come che sia, la comprensione di questi meccanismi fisiologici vi aiuterà ad allenarvi meglio, ed a rendere le vostre sedute più efficaci.
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Organi che non suonano, fusi che non filano
Qualche giorno fa abbiamo definito il muscolo come una unità funzionale neurosomatica: strettamente legati e dipendenti dalla porzione di sistema nervoso cui sono connessi, senza i nervi e senza il cervello i nostri muscoli non sarebbero che pezzi di carne inerti.
Dunque lo stretching, in quanto stimolo allenante, agisce sostanzialmente sull’interazione nervo-muscolo e modifica le mappature cerebrali legate alla rappresentazione corporea.
È intuibile che una tale sofisticata interazione deve basarsi su potenti strumenti di interscambio di informazioni tra il centro e la periferia. Complessivamente, l’insieme di questi strumenti viene chiamato sistema propriocettivo: un termine che ci richiama l’idea della percezione di noi stessi.
Oggi vorrei parlare di due tipi di organi di controllo propriocettivo collocati in corrispondenza del muscolo.
I primi di cui ci occupiamo sono i fusi neuromuscolari. Si tratta di particolari fibre muscolari modificate che svolgono la funzione di recettori di stiramento; sono cioè capaci di percepire lo stato di allungamento dei muscoli e di inviare le informazioni raccolte al sistema nervoso centrale (da qui SNC). I fusi neuromuscolari si trovano praticamente in tutti i muscoli volontari, ad eccezione di un muscolo della mandibola; ce ne sono parecchi, ad esempio, nei muscoli della masticazione, della colonna vertebrale, degli occhi, degli arti e delle mani.
Il gruppo di informazioni che i fusi inviano al SNC si chiama riflesso miotatico (o miotattico; dal greco, allungamento del muscolo): segnali in grado di informarlo non solo su quanto i muscoli si allunghino, ma anche su quanto velocemente questo accada. Il SNC, a sua volta, può reagire ad un riflesso miotatico inviando al muscolo impulsi di contrazione in modo da regolarne ed ammorbidirne il movimento.
Insomma, per farla semplice possiamo dire che più velocemente un muscolo si allunga e più tende, reattivamente, a contrarsi, cioè a contrastare l’allungamento. Si tratta di un meccanismo che, in caso di emergenza, può salvarci un’articolazione (immaginate, come esempio estremo, una persona che precipitando si aggrappi al volo ad un appiglio), ma è chiaro che quando facciamo stretching desideriamo minimizzare questa reazione. Per questa ragione, non è opportuno (salvo esigenze speciali che non approfondirò qui) fare esercizi di stretching dinamico, cioè utilizzando slanci o movimenti di rimbalzo. Consentendo ai muscoli di allungarsi dolcemente e senza forzarli otterremo il massimo dei risultati.
Un secondo tipi di organo propriocettivo è costituito dagli organi di Golgi (dal nome del premio Nobel italiano Camillo Golgi). Si tratta di fibre speciali, molto brevi (sono lunghe qualche millimetro), collocate agli estremi del muscolo, là dove le fibre contrattili si collegano al tessuto tendineo. La funzione degli organi di Golgi è di misurare la forza della contrazione ed inviare al SNC il cosiddetto riflesso miotatico inverso; Il SNC, a sua volta, può rispondere diminuendo l’intensità della contrazione del muscolo e facendolo rilassare.
Capite come, quando facciamo stretching, fusi ed organi di Golgi possano lavorare in sinergia per garantirci il massimo dei risultati: se allunghiamo il muscolo dolcemente non scateneremo il riflesso miotatico; allo stesso tempo, un muscolo allungato invia riflessi miotatici inversi che, gradualmente, inducono il SNC a farlo rilassare. Ecco spiegato perché l’esperimento che abbiamo descritto qui funziona! ;)
Naturalmente esiste un limite all’allungamento di un muscolo, e naturalmente questo limite si può (entro certi margini) spostare gradualmente in avanti; ricordate che questi valori dipendono sempre e comunque dall’interazione tra SNC e muscolo, e di conseguenza dai parametri mentali rappresentazionali.
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Gli ultimi consigli per finire
- quando nel corso di un esercizio vi rendete conto che negli ultimi 60″-90″ il muscolo non si è allungato ulteriormente, per quel giorno avete probabilmente raggiunto il vostro limite in quell’esercizio, e potete passare all’esercizio successivo;
- non interrompete un esercizio appena avete ottenuto un nuovo guadagno in allungamento: meglio, prima di smettere, consolidare il guadagno restando in posizione (senza spingere ulteriormente) per i famosi 60″-90″;
- allo stesso modo, non terminate un esercizio con una extra-spinta negli ultimi secondi per guadagnare qualche centimetro in più: è un modo di bruciare gli ultimi minuti di esercizio, e gli ultimi progressi: i fusi neuromuscolari riporteranno il muscolo alla lunghezza precedente (ed anche oltre) nel giro di alcune diecine di secondi.
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