Allenamento, fatica, supercompensazione: carico interno e carico esterno

Il Liverpool in allenamento

La squadra di calcio del Liverpool in allenamento

Oggi parleremo di un concetto assolutamente centrale per chi si allena con una certa serietà: quanto vale il nostro allenamento? Cioè, esistono dei criteri per pesarlo, in modo da poterlo dosare nel modo migliore?
Facile, si può pensare: chilogrammi, ripetizioni, densità, velocità; oppure distanze, ritmi, frequenza cardiaca, recuperi; oppure ancora…
Non esattamente.
Sappiamo che la nostra condizione atletica, la nostra forza, la nostra grinta in allenamento variano nel tempo non solo di giorno in giorno, ma anche di ora in ora. Tutti abbiamo sperimentato a volte una diversa sensazione di fatica anche facendo lo stesso allenamento, e giorni in cui sembra che potremmo spaccare il mondo alternati a giorni nei quali non abbiamo affatto voglia di allenarci.
Per capire cosa succede, e imparare a gestirci meglio, ci servono due concetti nuovi.

Chiameremo carico esterno la parte misurabile dell’allenamento: metri, chilogrammi, andature, tempi di recupero, ripetizioni, serie e quant’altro caratterizzi la nostra sessione di lavoro.
Diamo un’altra occhiata alla curva di supercompensazione che abbiamo visto qualche giorno addietro (fig. 1); sappiamo che l’applicazione di un carico esterno (lavoro) in un certo tempo abbassa la capacità di prestazione, che risale poi nel corso delle ore fino a ripristinarsi. Se fossimo delle macchine teoricamente perfette, l’applicazione di uno stesso carico esterno produrrebbe sempre ed in ogni caso la stessa fatica, e la stessa curva di supercompensazione. Ma siamo per fortuna esseri umani, e così non è: non solo la curva di supercompensazione può assumere forme diverse in giorni diversi, anche a parità di carico esterno (il che significa essenzialmente che la fatica ed il suo ristoro seguono una diversa dinamica nel tempo), ma è lo stesso punto di partenza della curva a variare nel tempo.

A dire la verità, chi ha letto il post appena citato questo avrebbe potuto già intuirlo: abbiamo visto che una supercompensazione ben maturata sposta verso l’alto il punto di partenza della curva; ed abbiamo anche visto che una curva sottocompensata (cioè un allenamento che ne segue troppo da vicino un altro) lo sposta invece verso il basso… Ora dobbiamo solo estendere il ragionamento. Chiamiamo quindi carico interno la fatica che il carico esterno determina.

Il concetto di carico interno è interessante: a parità di carico esterno la nostra curva può scendere di più o di meno.
L’aspetto più importante su cui riflettere, a mio avviso, è che ciò che conta per un buon allenamento non è il carico esterno, ma il carico interno. Ad esempio, se un atleta effettua sempre uno stesso allenamento (impegnativo) a giorni alterni, è chiaro che se una volta si allena in due giorni consecutivi la seconda sessione risulterà più impegnativa, perché l’atleta non aveva recuperato completamente la fatica dell’allenamento precedente; guardando la cosa in un altro modo, possiamo dire che basterà un allenamento di intensità minore a determinare la stesa fatica, cioè lo tesso carico interno, cioè lo stesso potere allenante.

Osserviamo che il carico interno determinato dagli allenamenti precedenti non è il solo fattore che influenza l’andamento della curva: la nostra condizione del periodo, il nostro stato d’animo, quanto abbiamo riposato la notte precedente, la stanchezza mentale, ciò che abbiamo mangiato possono variare la nostra reattività ed il nostro potenziale atletico del momento.
La conclusione è quindi che, quando vi trovate in una condizione di prestazione deficitaria, anche un allenamento ridotto può darvi gli stessi effetti allenanti.

Ritengo questo punto di grande importanza per acquisire maggiore consapevolezza di ciò che facciamo, e molto utile per gli amatori seri che si allenano senza una guida, per destrutturare l’idea – che può far capolino – che un allenamento ridotto costituisca come una inadempienza, o rappresenti necessariamente una mancanza di impegno: a volte è il corpo stesso che ci chiede una modulazione del carico esterno.
Naturalmente, a questo punto si porrebbe il problema di valutare quantitativamente di volta in volta il deficit prestativo, e di conseguenza la riduzione ottimale del carico esterno. Ma questa è una preoccupazione che possiamo tranquillamente lasciare ai superprofessionisti della preparazione atletica : )

Restate in giro,nel prossimo post vedremo come usare questa roba.

Image courtesy corrieredellosport.it
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