Ricevo da Greenpeace gli inquietanti (ma quando non lo sono?) risultati di un’analisi svolta sul contenuto delle scatolette di tonno che troviamo nei nostri usuali punti di acquisto.
Stranamente, non si parla in questa inchiesta (e non se ne parlerà qui) dei vari inquinanti contenuti nel tonno, dei livelli di mercurio ed altri metalli pesanti a volte abnormi. No, questa volta la questione è diversa.
Il laboratorio spagnolo AZTI Tecnalia è stato incaricato da Greenpeace di analizzare il contenuto di 165 scatolette di tonno provenienti da 12 paesi del mondo in cui questi prodotti sono particolarmente diffusi: Australia, Austria, Canada, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Nuova Zelanda, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. I test sono stati condotti, in particolare, sul DNA delle specie contenute nelle confezioni.
Il risultato è che non sempre le etichette indicano con chiarezza il contenuto della confezione, ed in alcuni casi l’indicazione è fuorviante. Inoltre, in certe scatole si trovano mescolate più specie di tonno, e specie diverse si trovano anche in confezioni differenti dello stesso prodotto. Una pratica – sottolinea Greenpeace – che in Europa è illegale.
Insomma, nelle scatole finiscono animali che non dovrebbero andarci, o che sarebbe opportuno non ci andassero.
Io sono una persona che si tiene volentieri il più lontano possibile dalla retorica. Mi colpisce invece il fatto che quando si denunciano responsabilità gravi di organi, istituzioni, gruppi di potere si suoni inevitabilmente retorici: questo dà, a mio avviso, la misura di quanto la società – tutti noi – sia malata.
Ci sono poi termini che sembrano evocare la retorica in maniera particolare: parlare, a esempio, di sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, o di atteggiamento irresponsabile di taluni… o anche di specie a rischio di estinzione… sembra intrinsecamente retorico. Sono cose già sentite, vero?
Questo è esattamente ciò che si definisce addormentamento delle coscienze. Ci hanno addestrato a pensare che siamo impotenti, che le cose vanno così e sono troppo più grandi di noi. E non sarò io a cercare di convincervi che non è vero, perché evidentemente lo è.
Greenpeace ha pubblicato una bella inchiesta sul marketing del tonno, che potrete leggere o scaricare qui. Ci sono nomi, cognomi, marchi, brand. Fatene quello che riterrete opportuno.
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Il problema è che si pesca cercando di tirar su tutto il possibile (compresi in questo caso delfini, squali balena, tartarughe) e fregandosene di mettere a rischio l’intera giostra: utilizzare solo le specie non a rischio di estinzione, o quelle legali, riduce di molto la materia prima a disposizione e costa molto (dovresti ributtare a mare gli esemplari non idonei, fare selezione…). La Grande Azienda farebbe e fa qualsiasi cosa per aumentare i margini di profitto. Se poi il pescatore non è un battello della flotta ma un padroncino, i suoi margini sono tenuti talmente bassi dalla Grande Azienda che non si può chiedere certo a lui di essere quello che si sacrifica per l’ecologia globale, visto che ha un’ecologia locale (la sua famiglia) da far arrivare a fine giornata con qualcosa nello stomaco. Allora il povero ecologista da salotto (noi) scopre che se le multinazionali pescano meno tonno manderanno anche a casa qualcuno in più di quei disgraziati con mogli e figli che li aspettano per mettere qualcosa in pentola… e il cerchio del ricatto globale si chiude. E capiamo, una volta di più, che i poveri pesci presi nella rete siamo proprio noi.
Buon appetito.
Image courtesy greenpeace.org