Tono muscolare ed alimentazione

Chiudiamo, per il momento, la sezione dedicata allo stretching mettendo in evidenza un collegamento che viene troppo spesso sottovalutato tra metabolismo, alimentazione e qualità muscolare, su cui voglio tornare.

Il tono muscolare a riposo dipende da molti fattori, tra cui certamente quello genetico. Ma anche dal tipo di allenamento che facciamo e dalle qualità specifiche che forniamo ai nostri tessuti tramite l’alimentazione. Se qualche nuovo lettore si chiedesse a quali tipi di qualità stiamo facendo riferimento, lo rimando senz’altro a questo post.

L’elemento nutrizionale che – lo si è visto chiaramente – ha maggiori facoltà di influenzare il tono muscolare a riposo, cioè in altri termini la durezza e la rigidità dei muscoli, è la carne.

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Stretching… fino a che punto? I limiti fisiologici dell’articolarietà

Come abbiamo detto, non sempre serve fare stretching: esiste una fisiologia naturale che, pur nella vastità delle eccezioni degli individui della nostra specie, possiamo – ed è anzi opportuno – prendere in considerazione.
In linea di massima, non possiamo continuare ad aumentare la nostra articolarietà a piacere o rischiamo di arrivare alla disarticolazione; ma prima ancora di arrivarci metteremo a rischio le nostre articolazioni e ridurremo le nostre prestazioni atletiche: ricordiamoci che il tono muscolare è il fattore principale che tiene le nostre ossa tutte assieme, e che un’articolazione instabile riduce di molto la forza che possiamo esprimere!
Naturalmente vengono a tutti in mente persone dalla mobilità articolare particolarmente… spinta, come i contorsionisti. Tuttavia non siamo qui per parlare delle eccezioni, ma per dare utili consigli a tutti.

Oggi vorrei quindi occuparmi di quali siano i limiti di escursione articolare che dovrebbero fare da riferimento nella nostra ricerca di performance. In altre parole, quali angoli di articolarietà è bene allenarsi a raggiungere, ma in linea generale non superare, per non stressare le capsule articolari ed i muscoli? Vediamo.

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Come funziona lo stretching, e perché

Negli scorsi articoli ci siamo occupati di diversi aspetti tecnici dello stretching che spero abbiano contribuito a migliorare le vostre sessioni di lavoro e vi abbiano dato risultati migliori. Per chi si sia perso l’intera storia, ricordo che abbiamo cominciato ad occuparci di questo argomento a partire da qui.

Oggi invece vorrei approfondire assieme a voi la neurofisiologia dello stretching. Cioè: sappiamo che lo stretching funziona, ma come fa a funzionare? Si tratta di una reazione puramente meccanica, che riguarda per così dire la plastica muscolare, o sono coinvolti anche meccanismi centrali, di tipo neurologico? Certamente i lettori più fedeli possono immaginare quale sia la risposta. Come che sia, la comprensione di questi meccanismi fisiologici vi aiuterà ad allenarvi meglio, ed a rendere le vostre sedute più efficaci.

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Gli errori nello stretching

Una donna rilassata in un esercizio di stretching

Esercizio con una buona tecnica di esecuzione

Quale che sia il tipo di stretching che pratichiamo, e quale che ne sia il fine, la fisiologia ci viene in soccorso suggerendoci i comportamenti e le scelte tecniche di volta in volta più idonei; da queste indicazioni possiamo capire come esistano modalità antifisiologiche di esecuzione e di gestione dell’esercizio, nelle quali è bene non indulgere.

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