Il lettore di una rubrica che tenevo anni fa su una nota testata italiana on-line un giorno mi scrisse: “Lo ammetto, qualunque cosa che ha l’appellativo ‘naturale’ suscita in me molti dubbi. Perché desiderare una terapia naturale e non chimica? Per molti versi la chimica migliora quello che si trova in natura. Cosa mi dici a riguardo?”
Si tratta di un quesito che in molti si pongono e che mi sembra valido tuttora; credo meriti un approfondimento.
Esistono diverse e svariate ragioni per le quali una persona può scegliere di curarsi con prodotti naturali anziché di sintesi.
Dell’idea risibile che le piante non abbiano effetti collaterali abbiamo già detto. Molti fanno questa scelta perché sentono le piante meno pericolose, meno aggressive, più “delicate”. Questo è vero (per fortuna) solo per le piante o i preparati poco efficaci, quelli così deboli da avere anche un debole effetto terapeutico.
Bisogna sottolineare che l’efficacia di una terapia parte dal 10-15% di riscontri positivi, cioè dal valore del placebo. Logico, quindi, che nel valutare la potenza oggettiva di un farmaco o di una terapia si debba considerare questo valore del tutto inefficace (diverso è il caso delle patologie ancora senza cura, per le quali il 17% di remissioni sarebbe da considerarsi ovviamente un miracolo).
Molte persone si curano con prodotti naturali perché si sentono vicine ad un ideale di naturalezza, e non vogliono assumere sostanze chimiche.
Fatto salvo che esistono sostanze naturali (funghi tossici, veleni vegetali, veleni animali, droghe…) molto più pericolose di certe sostanze sintetiche, dobbiamo essere consapevoli che nel fronteggiare un’emergenza questo atteggiamento potrebbe rivelarsi pericoloso: chi ha la febbre oltre i 40 e resta due giorni senza far nulla per non prendere un febbrifugo rischia seriamente la salute! Allo stesso modo, chi ha una patologia da infezione batterica deve prendere degli antibiotici, naturalmente non scegliendoli a caso ma in seguito ad opportuna indicazione medica/antibiogramma e per il ciclo di assunzione prescritto (non si possono prendere gli antibiotici a caso, né quando “se ne sente la necessità”, ad esempio una volta al giorno o per un’unica assunzione).
In linea generale, il concetto che la Natura deve fare il suo corso è una solenne sciocchezza, che spesso nasconde la paura della potenza del farmaco. Lasciando troppo a lungo il nostro corpo alla mercé di un’infezione non gli insegniamo nulla, e farci quasi ammazzare da una febbre prolungata non ci renderà più forti la prossima volta. Bisogna capire bene com’è fatto il sistema immunitario, magari ci torneremo. Ma, se è vero che un bambino che vive sul Gange può sopravvivere in condizioni di sporco per le quali un bambino cresciuto in città probabilmente morirebbe di infezione nel giro di poche settimane, è anche vero che il bambino indiano ha un’aspettativa di vita molto più breve, ed invecchierà prima. Il corpo, insomma, non si rafforza soltanto, nel combattere le aggressioni immunitarie: si stanca, anche.
E poi, non siamo più, da almeno due secoli, uomini naturali: adoperiamo ogni giorno migliaia di ausili tecnologici (di natura chimica, digitale, logistica…) per il nostro piacere, il nostro benessere, il nostro comfort, la nostra sopravvivenza. L’uomo naturale moriva a 30 anni, quando riusciva ad arrivarci. E senza vaccini specifici, farmaci ed antibiotici saremmo decimati dalle epidemie, e potemmo morire per una semplice infreddatura, come è successo fino a tutto l’800. Il fatto, poi, che facciamo un uso scorretto della maggior parte dei nostri strumenti di benessere, è un altro discorso, sul quale concordo.
Ma torniamo alle ragioni per le quali seguire una terapia naturale. Il motivo più importante per seguire una terapia fitologica (cioè a base di piante) è la natura complessa delle patologie da una parte, e delle piante dall’altra.
Prendo ad esempio la gastrite. Si tratta di una malattia caratterizzata da diverse disfunzioni ed alterazioni, sia a carattere centrale che locale: alterazione del metabolismo delle cellule epiteliali, infiammazione locale, variazione del pH locale, rilevanti componenti neurosomatiche ecc. Il potere della Fitologia sta nella possibilità di costruire il farmaco: attraverso la conoscenza approfondita della patologia, e delle azioni e qualità delle varie parti di molte piante, è possibile costruire una formula di struttura che riesce a coprire efficacemente tutti gli aspetti patologici della gastrite.
Naturalmente non tutti i prodotti a base di piante sono formulati con questo indirizzo: se così fosse, l’efficacia dei prodotti naturali sarebbe ben maggiore! È un fatto, però, che un farmaco di sintesi non ha mai queste caratteristiche.
Il tipico farmaco contro la gastrite cronica, ad esempio, non riesce a curare i vari aspetti della patologia come li abbiamo descritti: e neanche ci prova. Si limita a creare una patina protettiva sulla parete interna dello stomaco: uno schermo meccanico, che di fatto non cura nulla. La sua funzione è paragonabile a coprirsi bene quando si esce di casa col raffreddore.
Perché nella farmacologia di sintesi è molto difficile ottenere un’azione complessa e coordinata sulla complessità di una patologia?
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Principi attivi
Nei farmaci di sintesi il principio attivo è solitamente uno solo. L’associazione di principi attivi differenti in un singolo prodotto (o l’associazione di più farmaci per costruire una terapia complessa) è operazione tecnicamente rischiosa: è molto difficile predire il comportamento di molecole di sintesi che interagiscono, si legano, si spezzano, si annullano a vicenda o si ricompongono a formare nuove molecole non desiderate ed incontrollabili ai mille livelli del loro complesso processo di assorbimento; così difficile che praticamente nessuno lo ha fatto sino ad ora.
Contrariamente a quanto accade per un farmaco di sintesi, in una parte di pianta ci sono diecine, a volte centinaia di migliaia di molecole diverse. E la cosa straordinaria è che una pianta (o una combinazione di piante) è spesso capace di svolgere da sola funzioni complesse, o più di una funzione allo stesso tempo.
Parecchio si discute su come questo sia possibile, parendo a molti che sia necessario a questo punto pensare ad una intelligenza che abbia concepito il mondo. Io non voglio entrare qui in meriti teologici o… extraterrestri, e mi limiterò a sottolineare che uno studio approfondito delle leggi della natura permette di rendersi conto dell’aspetto analogico degli ambienti e dei sistemi: dove c’è una pianta col fiore a imbuto c’è, guarda caso, un uccello dal becco a proboscide; dove fa più caldo la frutta presenta caratteristiche speciali nei suoi zuccheri e nella sua digeribilità… e così via (dimenticate l’idea evoluzionistica che l’uccellino, originariamente con un becco normale, abbia sviluppato nei millenni la sua proboscide perché doveva succhiare il fiore: abbiamo ormai abbastanza controprove per smontare questa teoria, vecchia di 200 anni).
Anche l’essere umano, nato su questo mondo, presenta – nelle sue infinite declinazioni – le caratteristiche che hanno in-formato i vari ecosistemi. È un discorso che ci porterebbe ben oltre i limiti che mi sono dato; tuttavia, il rimando al concetto di struttura nei cibi può offrirci qualche ulteriore strumento di riflessione.
Tutto questo è magnifico, starà certamente pensando qualche lettore. Ma allora perché spesso le terapie naturali non funzionano?
Cominceremo a vederlo la prossima volta.
Image courtesy etnobotanica.org