Credo che più d’uno dei lettori di questo sito (gradevolmente in costante aumento) si siano stupiti delle conclusioni di un articolo di qualche giorno fa, nel quale dopo aver stigmatizzato svariate classi di prodotti e sostanze non invitavo, in definitiva, a sbarazzarsene per sempre eliminandole dalla propria dieta. Avevo promesso approfondimenti, eccoli qua.
Quando penso alla dieta (termine che non indica un approccio nutrizionale dimagrante ma qualsiasi regime alimentare, anche quello che spontaneamente seguiamo quando non siamo a dieta) la penso inserita nella vita di un individuo, con il suo stare nel mondo, nel suo mondo. Abbiamo già avuto modo di occuparci del tema (si veda questo articolo ed il seguente), ora ci torniamo per approfondire il discorso del sovrappeso.
Non è opportuno seguire una dieta radicalmente diversa dai cibi più disponibili, diffusi e usati nel posto in cui viviamo, e che può capitarci di trovare ad una festa, in un incontro con gli amici, nelle occasioni di socialità. A meno che non decidiamo di vivere in eremitaggio, e di controllare per tutta la durata della nostra vita tutti i fattori di fatica organica cui potremmo essere esposti. È vero: evitare un fattore di stress fisiologico può aiutarci a mantenere un livello di efficienza più alto; ma ci rende, al contempo, più sensibili a quel fattore. Chi non mangia mai prodotti industriali ne troverà inevitabilmente in ogni occasione, ed è meglio che il nostro organismo sappia di cosa si tratta (soprattutto se il soggetto è un bambino che cresce). Chi desidera mantenere un grado elevato di purezza (qualità tutta da definire, sulla quale si intessono interpretazioni arbitrarie quant’altre mai) e non vuole rinunciare alla socialità, allo stare con gli altri, alla condivisione, sarà inevitabilmente costretto a trasformarsi a tempo pieno in sceriffo e censore, e diventerà nel tempo ossessionato dai mille pericoli in agguato dietro ogni angolo, sotto ogni piatto, e che entrano nel nostro corpo con violenza, facendoci del male… Sono cose che abbiamo già sentito, vero? Non si tratta di uno scenario che auguro a chicchessia, se non ai miei nemici!
D’altra parte, come abbiamo visto, altro è saturarsi giornalmente con sostanze di origine poco affine alle nostre fisiologie, altro è andare da McDonald’s o mangiare biscotti industriali una volta a settimana: siamo fatti per affrontare anche delle difficoltà metaboliche e superarle, e l’organismo si deve abituare a queste dinamiche, per mantenersi reattivo e intelligente.
In senso generale, a parte specifiche allergie, è sempre bene mangiare (almeno ogni tanto, e con le dovute differenze) qualsiasi tipo di cibo: i processi digestivi possiedono una propria specificità verso gli alimenti, ed eliminando completamente un alimento per un periodo molto lungo si vanno perdendo anche gli enzimi necessari alla sua digestione.
Non si deve commettere l’errore logico di pensare che allora nutrirsi prevalentemente di schifezze (il cosiddetto junk food) costituisca il modo migliore per rafforzare le capacità dell’organismo: come per l’allenamento sportivo, esiste un dosaggio ottimale della fatica (che produce reazioni positive) oltre il quale la fatica si accumula, ci stressiamo, e le qualità reattive diminuiscono.
Il discorso, fino ad ora del tutto generico ed applicabile ad ogni aspetto del wellness, vale anche per la riduzione del sovrappeso: una eccessiva purificazione (?) del metabolismo rende più problematica la reazione alle sostanze cui ci siamo disabituati nel momento in cui le incontriamo ancora: in mancanza (o carenza) di enzimi specifici un alimento può causare errori metabolici, appesantire i processi digestivi, portare a dismetabolismi che possono complicare il nostro progetto di fitness. Va considerato inoltre che molte persone si sottopongono a periodi di purificazione (?) uscendo dai quali tornano alle proprie abitudini, aumentando quindi la possibilità di sviluppare difficoltà di assimilazione verso alimenti specifici.
Si potrebbe allora ragionare: ma se a me il tale alimento non piace, non mi interessa, quando me lo offrono scappo come dalla peste, e non lo mangerò mai… a cosa serve imparare a tollerarlo? A poco, in effetti. Dovremmo in questo caso fare dei distinguo, visto che c’è una differenza evidente tra il non gradire ad esempio gli asparagi (e quindi non mangiarli mai) e le Pringles: mentre mangiare asparagi non può che arricchirci di qualità ulteriori, se non vi piacciono le Pringles potete tranquillamente evitarle. Anche se io personalmente, per come sono fatto, ogni tanto le assaggerei comunque ;)
Il caso più frequente, però, è quello in cui ci piacciono certi alimenti che, per i nostri progetti di fitness e wellness, riteniamo di dover evitare. È qui che la nobile arte dell’eccezione può fare la differenza!
Qual è allora il modo migliore di gestire questo equilibrio tra cibi da evitare e cibi da privilegiare? Ne parliamo la prossima volta.
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