Una delle nostre qualità più straordinarie è la possibilità di cambiare. Nel corso del tempo possiamo modificare tantissimi aspetti della nostra vita, più di quanto normalmente si voglia pensare. Ma in questa sede vorrei portare l’attenzione sui meccanismi di adattamento che, tramite l’allenamento, ci permettono di migliorare la nostra forma, le nostre abilità e le nostre prestazioni nel corso del tempo.
Intanto, vorrei notare che questi meccanismi si attivano solo laddove mettiamo un po’ in crisi certe nostre capacità: se salire le scale ci stanca, salendo abbastanza frequentemente le scale ci accorgeremo presto che la fatica che proviamo nel farlo si riduce. Se fatichiamo a sollevare dieci volte quel bilanciere, o a fare trenta ripetizioni di quell’esercizio di addominali, facendolo abbastanza frequentemente riusciremo a superare quei numeri, con la stessa fatica che facevamo prima. A quel punto potremo decidere se vogliamo migliorare ancora, o se ci basta mantenere quello stato di forma: se continueremo a fare lo stesso esercizio, con gli stessi parametri quantitativi, la nostra forma rimarrà stabile; se cercheremo di fare un po’ di più, andremo un po’ più avanti.
Alla base di questo meraviglioso gioco, che pare creare qualità dal niente, c’è un meccanismo fisiologico che sarà bene conoscere a fondo, per sfruttarlo al massimo.
Quale che sia la nostra condizione del momento, dopo esserci allenati questa condizione si riduce. Cioè, se prima dell’allenamento ero capace di fare 10 serie di addominali da 80 ripetizioni (stancandomi molto), un’ora dopo non ci riesco più (perché mi sono stancato). Guardate lo schema qui a fianco: sulla riga orizzontale c’è il tempo, su quella verticale la nostra condizione fisica. Nel punto di incrocio delle righe partiamo con l’allenamento. La linea curva che scende sotto la riga orizzontale mostra che mentre ci alleniamo ci stanchiamo, e la nostra condizione si abbassa. Nel punto 2 finiamo l’allenamento: la nostra condizione tocca, ovviamente, il minimo (se avessimo continuato ad allenarci sarebbe scesa ancora di più).
Intuiamo, anche senza averci ragionato su, che nelle ore e giorni seguenti all’allenamento, se riposiamo, recuperiamo gradualmente le forze e torniamo freschi (è la sezione 4 del grafico: più tempo passa, più la nostra condizione si avvicina a quella di partenza); ciò che è forse meno intuitivo è che, se aspettiamo abbastanza, la nostra condizione sale tanto da superare quella di partenza (sezione 5). Questa salita raggiunge un punto massimo (X) oltre il quale si arresta, per poi comincia a scendere e tornare, alla fine della fase 5, ai livelli di condizione iniziale. Se poi facciamo passare troppo tempo prima dell’allenamento successivo la condizione fisica scenderà a valori più bassi di quelli di partenza (va detto che questo vale solo per chi si allena con una certe regolarità).
La durata delle varie fasi varia enormemente in base al tipo di allenamento che facciamo, al nostro grado di allenamento, alla nostra condizione iniziale, alla nostra reattività, alla qualità del riposo, ed anche alle dinamiche psichiche. Purtroppo non è possibile prevedere in linea teorica la durata delle varie fasi per ciascuno di noi: chi ci riuscisse avrebbe eccellenti possibilità di diventare l’allenatore più ricercato di tutti i tempi!
Durante la fatica c’è, abbiamo detto, un abbassamento della capacità di prestazione; mentre riposiamo l’organismo compensa questo abbassamento, riportandoci gradualmente alla condizione iniziale; se aspettiamo ancora, vediamo che la riduzione di prestazione viene non solo compensata, ma supercompensata: cioè, per un tempo che può durare alcune ore o pochi giorni la nostra prestazione risulterà più alta di quella da cui siamo partiti. Questo fenomeno è quindi studiato dai fisiologi col nome di supercompensazione.
Ma guardiamo ancora con attenzione l’immagine precedente.
Vi chiedo uno sforzo di astrazione… algebrica, per fare virtualmente una copia trasparente dell’intero grafico e sovrapporlo all’originale traslandolo rigidamente, piazzando il punto 0 sul punto X: l’andamento del grafico che ne segue è quello che si verifica se invece di partire dalla condizione 0 partiamo dalla condizione X, cioè da una forma migliore: è chiaro che arriveremo ad un nuovo valore X (chiamiamolo X’ per non confonderci) superiore all’X originale. In altre parole, se ci alleniamo di nuovo quando la nostra condizione è vicina al punto X arriveremo ad una nuova condizione di forma X’, ancora superiore.
L’idea è mostrata chiaramente nell’immagine qui a fianco, nella quale il grafico verde è la traslazione del grafico rosso iniziale; l’operazione viene poi ripetuta, per maggiore chiarezza, traslando il grafico verde e sovrapponendolo (in blu) al punto 2, che corrisponde al nostro X’. Come vedete, in tre allenamenti si è raggiunto un miglioramento della condizione estremamente elevato. Questa condizione corrisponde al caso migliore, in cui tutto è stato ottimizzato e previsto alla perfezione. La fig.2 è piuttosto semplificata rispetto ad una situazione reale, ma rende bene il concetto. Dobbiamo però sottolinearne un aspetto.
Questo grafico non mostra l’intensità del lavoro svolto, ma solo l’andamento della fatica nel tempo; può risultare in qualche modo fuorviante, e far credere che l’allenamento verde o l’allenamento blu siano identici all’allenamento rosso. In realtà, se la nostra condizione è migliorata sarà necessario un allenamento più impegnativo per avere una curva simile, cioè per fare la stessa fatica.
La figura qui a fianco mostra invece che non tutti gli allenamenti sono in grado di creare una buona curva di supercompensazione: un allenamento poco intenso (linea tratteggiata) produrrà una supercompensazione di minore entità e durata più breve, mentre un allenamento troppo intenso (linea puntinata) produce una supercompensazione non significativa o del tutto assente, perché crea troppa fatica e l’organismo non riesce a reagire. Come si vede la fase di recupero avviene comunque, ma è più lenta.
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Un’altra dinamica piuttosto tipica è mostrata in quest’altra figura, che traggo dal sito di Marco Farina: se si ripete l’allenamento prima di aver avuto il tempo di compensare si va incontro ad un graduale peggioramento della forma. Questo accade in caso di allenamenti troppo intensi e/o ravvicinati rispetto alla nostra condizione del momento; nel caso, nonostante le sensazioni che si avvertono addosso, si insista nell’eccesso, si arriva alla fatica cronica e si può andare incontro a danni organici.
Un’ultima considerazione: se ci si riallena regolarmente nei dintorni del punto di compensazione, si continua a restare nella medesima condizione di forma. È quello che accade quando, ad esempio, la nostra attività consiste nella corsa lunga e lenta e svolgiamo lo stesso tipo di lavoro ad ogni allenamento.
Se ragionate sull’intera questione, vi rendete conto che quando siamo del tutto fuori forma, ma vogliamo comunque partecipare alla stracittadina o alla partita scapoli-contro-ammogliati, o vogliamo raccogliere la sfida a basket uno contro uno del collega del Reparto Vendite, la cosa peggiore che possiamo fare è sottoporci a intensi allenamenti nei giorni precedenti nella speranza di elevare il nostro stato di forma: come si capisce ormai molto bene, mancando il tempo per una giusta supercompensazione questo porterebbe la nostra condizione atletica – e la nostra prestazione – ad un livello molto più basso di quello iniziale. C’è da dire, infatti, che i miglioramenti che si ottengono con sole una o due sessioni di lavoro non sono significativi… ma la fatica si percepisce, e come!
Nel prossimo post ci occuperemo di capire come regolarci per determinare, per quanto sia possibile, la frequenza ottimale degli allenamenti.
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